Lettere a Padre Migliorini

 

Preferisce scrivere
(dalla lettera del 29 ottobre 1942)

"Molto Rev.do Padre, molto per mio carattere, che è chiuso, timido, poco facile ad espansioni e confidenze, e un poco perché troppe volte nella vita sono stata fraintesa e schernita, ho molta difficoltà ad aprire l'animo mio, come vorrei, a persona che per il suo ministero e per la sua saggia bontà potrebbe guidarmi tanto bene e darmi un conforto molto maggiore di quello che già mi dona. E allora, siccome reputo che è bene che fra l'anima ed il Direttore della stessa vi sia apertura e conoscenza ampia e schietta, ricorro al mio solito sistema: scrivo."

 

È stata attratta dalla luce di Dio
(dalla lettera dello febbraio 1943)

"Desiderio grande di Dio è che noi si veda. Si veda la sua Unità, la sua Trinità di potenza, di sapienza e di amore, si veda la sua Bontà che è racchiusa nel Cristo, buono al punto di volere morire per noi… e attraverso a questa visione... innamorarci sempre più di Lui, onde tutto di noi si informi, viva, operi, fra le guide dell'amore, secondo la sua Legge che vuole il nostro bene, la sua Legge che io non posso vedere altro che come Legge tutta amore. Ma per vedere la luce non bisogna essere abbacinati. Basta fissare una fiammella di candela fumosa, puzzolente, effimera, per restare poi abbacinati al punto da non vedere più riflessa, sulla retina dell'occhio, che quella fiammolina tremolante. Se anche il sole entra giocondo nella nostra stanza, l'occhio, stanco d'aver dilatato la pupilla su quella larva di luce, non vede più il sole...
Ugualmente avviene per lo sguardo dell'anima. Molti non vedono la Luce di Dio, non vedono Dio e non lo sentono perché si sono perduti a fissare tutte le più meschine fiammelle umane. Affetti, affari, onori, cure del proprio corpo caduco, di tutto, di tutto l'uomo si fa una fiammella e la guarda, la cova, l'ama, l'adora, ne fa scopo della vita ... e diviene cieco alla Luce vera.
Io sarei stata una di queste povere anime acciecate se Dio non m'avesse con mano, che a giudizio d'uomo potrebbe apparire spietata, spento tutte le fiammelle. Tutte.
Ero una passionale, assetata di tutto l'affetto che non avevo mai avuto, portata quindi ad attaccarmi a chi mi amasse un poco, facendo di costoro altrettanti dèi del mio cuore, che sarebbe in tal modo rimasto un cuore umano. Dio ... paff! con un soffio del suo volere ha spento tutto. Oggi una fiamma, domani l'altra; finché tutte le candele, che ardevano sul mio terreno altare, furono spente. Che buio, che freddo, che terrore!. ..
Poi è venuto Lui. È venuto a poco a poco, attirandomi con le carezze e con le gioie sensibili. E la luce, come aurora che si riaffacci sul mondo oscurato, si è rifatta piano piano. Non fissavo ormai più altro che quel sorgere di luce che mi consolava dopo tanto tenebrore. E siccome quella luce nascente la sentivo luce d'amore, sempre più andavo verso di lei per esserne invasa e saziata. Ma non sazia mai! Più se ne riceve, più di lei ci si nutre, e più si ha fame di essa."

 

È sincera, a costo di essere mal giudicata
(dalle lettere dell'l1 febbraio 1943 e del 7 dicembre 1944)

"Rispondo alle sue due lettere che ho letto, riletto, meditato in tutte le più piccole parole. E rispondo con la mia abituale sincerità poco curandomi di apparirle forse molto umana e perciò molto lontana dalla perfezione. Altre animucce userebbero largamente dell'ipocrisia per apparire a Lei migliori. Non io. Io mi svelo così come sono, o se no sto zitta e buona notte. Penso che la sincerità sia una grande virtù nella vita, anche se ci rende il prossimo nemico, penso che un cristiano debba esser sempre sincero con gli altri e con sé stesso. Il Vangelo lo dice: "Il vostro linguaggio sia sì, sì; no, no". E non solo il linguaggio, ma tutta la vita deve essere limpida e schietta: uno specchio ben chiaro in cui poterei riconoscere quali siamo, senza sovrapposizioni di mascherature che tanto piacciono a certuni e che deviano l'opinione propria e altrui."
"Con buona pace del Rev.do P. Pennoni, il quale vorrebbe snaturarmi facendo di me un'ipocrita che si mostra dolce, remissiva, senza nerbo né voce, per avere l'aspetto esterno di una santità secondo la falsariga che certuni vogliono per dire che uno è in grazia di Dio, dimenticando i grandi santi che furono battaglieri, irruenti, schietti, e che pure si santificarono e santificarono le folle appunto per la loro lampeggiante e indomita personalità tutta effusa al Bene, io non snaturo mai me stessa ... Perciò abbia pazienza se le parlo senza veli e addolcimenti. "

 

Soffrire per volere di Dio dà pace
(dalla lettera dell'l1 febbraio 1943)

"Come le ho detto stamane, nella confessione e col cuore che mi traboccava di dolore, di dolore solo, non di astio, la prego credermi, non posso assolutamente accettare l'idea che sia la volontà di Dio che procura certe sofferenze alle creature. No. Dio è bontà e vuole il bene nostro. Ci dà il dolore per sua grazia e nostro bene. Ma il dolore che veramente viene da Dio è contrassegnato da una sigla di pace e di forza che è miracolosa. Le fibre premute e straziate dal dolore che viene da Dio sudano sangue e lacrime e si spezzano una ad una ... ma insieme l'anima sente la mano paterna di Dio che asciuga sangue e lacrime, che carezza le fibre torturate, ma insieme al singhiozzo nostro vi è un'armonia celeste che, più del canto di Davide, calma i furori e i dolori. Così è quando il dolore viene da Dio: così dolce quel soffrire che lo si desidera per pane quotidiano! Dolore di malattia, dolore di perdita di fortuna, dolore di morti care... dolore anche di abbandono da parte di persone sulle quali ponemmo fiducia.
Ma quando il soffrire viene da altrui inutile cattiveria, allora non porta sigla divina né è accompagnato da conforti soprannaturali. Frutto di sobillazione demoniaca, in un cuore che vi si presta, porta seco acredine d'inferno e turba e morde e offusca e conduce l'infelice, cui si riversa, a turbamento spirituale che può raggiungere disperazione e suicidio... Io so cosa vuol dire rasentare disperazione per colpa del lavorio incessabile, vero lavorio da orologio instancabile, di certi esseri che, ne so convinta, sono strumenti non di Dio ma dello spirito del male. È tremendo! Non mi sono buttata a vie male perchè la bontà di Dio non lo ha permesso. Ma per colpa altrui e per opera altrui potevo andarvi. "

 

Non vuole essere oggetto di studi psichici
(dalla lettera del 9 novembre 1944)

" ... mi oppongo formalmente che della opera santa, data per gioia dei buoni guida dei sacerdoti, sia fatto uno studio umano ... trattando il portavoce come "il caso clinico Valtorta", volendo tutto spiegare, e perciò ridurre ad un fenomeno psichico, tutto spiegare, anche quello che altro non è che suprema, adorabile, paterna opera di Dio, del Pastore Padre al suo gregge.
Io sono, ma non sono. Sono per essere "portavoce". Nulla più. Io so di non essere che per essere questo, e se questo non fossi, ossia se non fossi la "voce" che ripete le sante parole, io non sarei. A che dunque occuparsi di Maria Valtorta straccio di umanità e di perfezione? ... Circa, poi, l'opera dettata da Gesù, mi oppongo, e nella maniera più recisa, che vengano fatti studi di una scienza che spogliata da non vere vesti appare quale è: razionalismo del più schietto. No. Siate sacerdoti e non scienziati. Siate sacerdoti e non politicanti. Siate sacerdoti, ossia umili e retti, e non superbi spinti sempre a dimenticare lo scopo: le anime, per il fronzolo: la soddisfazione di fare un'opera scientifica lodata, citata, e commentata da altri della stesi tempra."

 

Sa di essere un "nulla"
(dalla lettera del 7 dicembre 1944)

"Oh! fra tutti i nemici che ha il "portavoce", nemici che dicono: "Non è possibile che il portavoce meriti tanto", ne ce ne è nessuno così convinto di questa cosa come lo è Maria Valtorta. Lo creda. Lo dico spesso a Gesù: "Ma come hai potuto scegliere me?", e Lui ride e mi carezza. Neppure le Sue ripetute parole d'amore, che l'anima mia beve come terra sitibonda, riescono a persuadermi che proprio io sono il "portavoce di Gesù" e perciò amato da Lui di un amore di preservazione anche dalle miserie della Terra. Sfiducia questa? No. Conoscimento di me: nulla."

 

Premure per Marta
(dalla lettera del 25 marzo 1946)

"Marta è piena di buona volontà, ma non di salute. Ed io, perché il sopracarico di lavoro non me la faccia ammalare, cosa che sarebbe un disastro, ho ... rubato i miei soldi!!... Già! Si può anche rubare a se stessi! E come? Facendo così: se avessi detto a Marta: "Prendi 500 lire e vai in farmacia a comperare 3 flaconi di Becalfene", medicina ricostituente che le fa molto bene, saremmo entrate in una lunga discussione enon avrei ottenuto nulla, perché Marta mi avrebbe schiacciato sotto questa sentenza vera: "Lei, che non compera il necessario neppure per sé, vuole prendere le medicine per me? E pazza!". Allora mi sono fatta dare il portafoglio, che non chiedo mai, come per verificare quanti soldarelli ho ancora, ... ho fatto saltare un biglietto da 500, ... e, nel pomeriggio, in assenza di Marta, ho pregato la Panigadi di acquistare la medicina. Marta, l'ho capito, ha sofferto della ... verifica monetaria come di un mio sospetto sulla sua onestà. Non ha detto nulla. Ma da sabato, se deve prendere denari per le spese, mi dà, asciutta asciutta, il portafoglio ... Ebbene ... quando vedrà che non diffidenza ma amore era in quel desiderio, mi farà un sacco di rimproveri per la mia prodigalità pazzesca, ma non soffrirà più pensando che io diffidi di lei e si curerà ... "

 

Indifferenze sacerdotali
(dalla lettera dell'l1 aprile 1946)

"Riguardo a sacerdoti mandati da S. E. Mon.r Vescovo per ora non ne ho visto 1'ombra. Ma farò come dice lei. Riguardo a quelli della Parrocchia, ho! mio Dio! Ma quando mai vengono a trovare i malati? Tolto il vecchio e accidentato Monsignore, che viene in visita amichevole un 4 volte all'anno, e certo verrà per Pasqua - e le dirò, quando sarà venuto, come si è comportato - curato e vice curato vengono per la Benedizione delle case, e basta. Giusto il 3 c. m. è venuto il vice curato don Dati. È entrato nell'ingresso e non voleva neanche entrare in stanza. Poi dalla soglia ha benedetto con una faccia dura come un granito, in collera, ed è uscito senza dire una sola parola alla parrocchiana malata. Non dica: "forse era stanco". Ha girato tutta la casa al terreno e al primo piano. Dunque era in camera mia che non voleva entrare."

 

Contro la diffusione intempestiva dell'Opera
(dalle lettere dell'l1 e del 20 aprile 1946)

"Le dico che di questo continuare a distribuire, senza che siano tutelate da una approvazione ecclesiastica, parti dell'opera, Gesù è sempre stato scontento e sempre più lo è... Le faccio presente che, anche dopo il permesso avuto da Nostro Signore di dare a leggere pagine a chi sento bisognosi di questo fra i miei testimoni, io non me ne sono valsa perché sempre più mi convinco che non c'è ubbidienza, correttezza, prudenza, nella gente anche migliore. Non per colpa mia deve venire il castigo. lo ubbidisco e ho ubbidito. Sempre. Lo posso dichiarare in piena coscienza. Come posso dire che non le ho mai fatto sotterfugi di sorta.
Lei non abbia tante ansie di far conoscere a questo o a quello ... Se questo Padre Berti le pare un vero sacerdote, lo abbia ad amico e ad aiuto ... Ma non moltiplichi le amicizie... Ma non ha ancora capito che è un momento in cui tutto il Male è contro l'Opera? Sia coraggioso, prudente e paziente. Quando, e se, capisce che il Generale ha vero interessamento e fede nell'opera, col suo aiuto cerchi di ottenere l'approvazione. Ma basta, in nome di Dio, di spargerla in tutti i sensi! Basta! Basta! È una cosa seria, non è una burla ...
Non passa giorno che io non discopra nuovi possessori di copie e conoscitori del portavoce. Fermano Marta per la strada, e con prepotenza si lamentano di non poter venire, di non poter avere quei dattiloscritti che il Padre dava sempre, esaltati per la più parte, proclamano di voler far conoscere questa meraviglia (cioè io) e di propalare quanto hanno copiato spedendolo qua e là. Così la Miconi, la Ricci, e altre di casato ignoto. E vengo a conoscere che Danilo Barsella ha copiato gli scritti, previo permesso. E che conventi, ospedali, ecc, ecc, sanno dall'a alla z, tanto che importunano e Marta e i miei amici non potendo raggiungere me direttamente. E ora che dovrei dire? Dico solo: era questo l'ordine di Dio? Chi ferma più la rena che slitta e sfugge da tutte le parti? Non le si risuscita 1'avvertimento più volte ripetuto: "Se si agirà in modo di addolorare e nuocere al portavoce io leverò chi è causa di dolore"?
Padre, Padre! Le assicuro che se avessi potuto anche lontanamente immaginare questo, i cento e più quaderni che ho scritto sarebbero ancora allo stato manoscritti in camera mia... Lei mi ha fatto tanto bene come Maria Valtorta. Un bene che non lo dimenticherò e del quale lo ringrazio ancora. Bene per malata, per la penitente, per la creatura. Ma mi era più caro non avesse fatto nulla di questo e avesse fatto tutto solo portavoce, e il tutto da farsi al portavoce era attenersi agli ordini di Dio che mi voleva lasciata in pace alla mia missione…"
"Purtroppo la gente promette di tenere per sé, ma poi non lo fa. E prova ne è la fungaia di pagine che è dappertutto. Giovedì sera dovetti subirmi il giudizio di chi, non sapendo, speriamolo almeno, di parlare col portavoce, mi diceva: "A giudicare che quegli scritti non vengono da un'anima santa basta il fatto che questa li ha sbandierati qua e là per averne lode ed essere conosciuta. I santi non si autoproclamano tali". Ho risposto: "Ha ragione". E ha ragione. Ma sono io che ho levato il bello della verginità a quest'opera? Sono io che 1'ho diminuita sbandierandola? No. Io ho avuto soltanto prima sacrificio di scrivere e ora affronti di mal giudizi, noie, e dolore di vedere deriso il lavoro di Dio".

 

Esige la fedeltà agli originali
(dalla lettera del 15 aprile 1946)

"La prego, nel ricopiare e nel correggere, di non limitarsi a guardare i dattiloscritti, ma gli originali. Nelle ore di estenuazione, così violente da qualche tempo, io scorro qualche pagina dei dattiloscritti, e scopro errori di copia sfuggiti anche alla mia correzione. Così nel dettato del 27-8-44 (Vita della Vergine) a pag. D 1041, Lei ha scritto alla 52ª riga la parola schiava. Badi che è schiva: s-c-h-i-v-a. Scrivere "schiava svisa tutto il senso della frase, e quasi quasi diventa un insulto ciò che nella Parola soprannaturale è lode.
In quello del 12 agosto 1944 lei mette titolo: "G. risuscita un uomo ucciso in casa della Maddalena". Niente affatto! Era morente, ma non morto. Perciò lo risana, ma non può risuscitare chi non è morto. Di risurrezioni io ne ho viste soltanto le tre del Vangelo. Gli altri saranno morenti, compreso il neonato del Castello di Cesarea di Filippo, ma non ancora morti. Il titolo è dunque "Gesù risana un uomo ferito in casa della Maddalena" .
Attenti, per carità! Perché anche una virgola fuori posto ha il suo valore. Anzi fin da ora le dico che avanti di presentare l'Opera io la devo con somma cura riguardare e con l'aiuto dei manoscritti originali (che mi pento averle lasciato portare via perché almeno potevo rivedere parola per parola e avere almeno una copia esattissima). Capirà che un nulla può produrre una bestemmia o un errore ... Abbastanza ci sono delle cattive disposizioni! ... Non diamo almeno materia per trovare errori religiosi!
Anche nel brano sulle pene d'oltre tomba vi è certo una parola omessa nel dettato sull'Inferno, e la frase diviene sibillina ... E nella visione del 14-8-1944 … a pagina B 977 riga 38, la parola "serie" va corretta con la parola "scie" e la frase diviene così: " ... molte anime di giusti e di pargoli entreranno, scie di candore, dietro la porpora del Redentore". Corregga per piacere... Grazie. Le raccomando di non consegnare a nessuno, per nessun motivo i manoscritti o originali, se più le piace chiamarli così. Ricordi sempre che qualora il giudizio umano avesse a giudicarli opera umana, per legge sono di proprietà dello scrittore e come tale devono essere resi allo scrittore. Non ho dormito in questi giorni e mi sono informata presso persone di legge competenti, amiche e anche parenti. "

 

L'Opera è l'Autobiografia di Gesù
(dalla lettera del 5 maggio 1946)

"Lo credo che P. Berti trovi del "nuovo e senza riferimenti umani"! Io non ho un libro che mi sia di aiuto, ignoro assolutamente ogni scritto rivelato o fatto da uomini, in merito. Lei sa che le ho detto: "Anche avessi denaro o ci fosse chi mi regala la Vita della Vergine di P. Roschini non la leggerei. Voglio sapere soltanto da Dio". E così dico per qualunque altro scritto del genere. Che i punti siano belli, esatti e nuovi, è naturale! In fondo è l'Autore degli episodi che narra la sua vita, e non e'è migliore e più esatta biografia di una Autobiografia. Non le pare?"

 

Vuole la certezza che l'Opera sia protetta
(dalla lettera del 13 maggio 1946)

"Non può bastarmi la notizia che Padri illuminati e colti esaminino con serietà e segretezza gli scritti. Questo potrà anche costituire un appoggio per la natura dell'Opera e la veracità della dottrina esposta. Ma mi sembra opportuno e di massima necessità che Lei mi doni la sicurezza che l'Opera Divina, che gelosamente e fiduciosamente le ho affidata, sia tutelata con prudenza e delicatezza, secondo il Volere di Dio, dai Padri dell'Ordine. Non basta che solamente Lei ne sia il custode. Ma bisogna che sotto una seria e sentita responsabilità, i suoi Superiori accettino spontaneamente il tesoro a loro affidato per la tutela da Dio, lavoro che a suo tempo dovrà essere conosciuto dalle anime bisognose della Parola di Vita dopo che questa sia protetta con le dovute cautele. È sommamente necessario che la Divina Parola sia conservata nel silenzio raccolto e riverente, difesa amorosamente dalle insidie umane e diaboliche che eventualmente potranno essere tese per lo sbaglio commesso di affrettarne la conoscenza, contrariamente alla manifesta Volontà di Dio e prima che la Santa Chiesa abbia posto il sigillo della Sua Materna infallibile autorità con l'approvazione di un Ordinario, come ha detto il Signore ...
Reverendo Padre, glielo chiedo in nome della Mamma che amorosamente onoriamo in questo mese e che mi guida e sorride amorosa e soave, faccia umilmente i suoi passi presso i Superiori, affinché l'anima mia abbia riposo nella sicurezza che il Prezioso Tesoro donato da Dio e sotto la sicura protezione del Suo Santo Ordine. Questo atto porterà ad aumentare la gioia nell'anima sua riportando sul sentiero della Divina Volontà tutto il Celeste Messaggio che a suo tempo dovrà giungere alle anime. Inizi i suoi passi con confidenza e semplicità, io ascolterò con spirito di fede le decisioni dei Superiori e se, per disposizione divina e secondo i fini imperscrutabili dell'Eterno, i suoi Superiori troveranno opportuno di non addossarsi tale responsabilità, con perfetta tranquillità accetterò le loro decisioni sperando sempre nel Signore per avere da Lui l'aiuto necessario per fedelmente servirlo sino alla fine come Egli vuole."

 

Versa in ristrettezze finanziarie
(dalla lettera del 29 settembre 1948)

"La ringrazio molto delle L. 5000 mandatemi che mi permetteranno di andare avanti ancora qualche tempo ... Ho la sensazione che in genere ben pochi si rendono conto delle nostre reali condizioni o che non si creda a quanto noi diciamo in merito ad esse. Ma lei ricorderà come mi dibattevo nelle ristrettezze già dal 1945. Si può pensare agevolmente che dopo tre anni esse sono aumentate, nonostante io abbia venduto il pianoforte e altri oggetti, molto più per essere rimasta senza alcuna entrata dal gennaio al 15 Luglio 1948 in causa di quei due disgraziati che ho dovuto mandare via dalla mia casa perché, per un forse eccessivo mio senso di morale, e soprattutto per rispetto a Colui che vi scende, venuta a conoscenza della verità su quei due non potei permettere che continuassero a vivere sotto il mio tetto ...
Ho anche Marta sofferente, e per curare lei, che mi è necessario che sia ben sana, non mi curo io come dovrei, limitandomi a prendere soltanto le gocce per il cuore e trascurando le altre cure che mi sarebbero indispensabili. Ci nutriamo con cibi inadatti, e nonostante tutti questi sacrifici, fra vitto, luce, acqua, tasse, medicine ecc. mi vanno 15.000 lire al mese. Sinora Marta si è rivestita e calzata coi miei vecchi spogli. Ma ormai sono finiti e presto avrò il dovere di pensare a lei che da 5 anni, tutta perduta come è presso di me, non prende un soldo."

 

Deve celare i rapimenti estatici
(dalla lettera del 29 settembre 1948)

"Ecco, mi permetta di farle osservare alcune cose che ho accennato anche a P. Berti e che vanno considerate con quella profondità che esse richiedono. Mi spiace dover parlare dei miei fatti spirituali, ma ne devo accennare perché dal maggio essi hanno preso un altro aspetto. Ormai io cado sovente in uno stato estatico visibile a chiunque entra in stanza mia, né si può proibire agli inquilini di entrare, perché sospetterebbero che o sono infetta o sono pazza pericolosa. Anche uscita da questo stato io rimango per più ore con un aspetto che denuncia uno stato non da malata E non naturale.
Ora mi si dice sempre: "Faccia che nessuno sappia, faccia che nessuno sospetti". Ma, anche a non voler tener conte della sofferenza e del mio pudore spirituale, che soffre acutamente nell'essere sorpreso in quelle ore, non le sembra che sia imprudente mettere persone sconosciute, magari di pensiero comunista e antireligioso, a conoscenza e visione della mia speciale condizione? Non le sembra che sia un controsenso il raccomandarmi di non far venire nessuno di non alzare neanche la tenda per non essere vista, e poi permettere che, con la scusa di vedere la casa per prenderla in affitto, delle vere teorie di curiosi vadano e vengano e mi si ficchino in camera per trattare, sbircino, scrutino, disturbino, sorprendano, e poi soddisfatta la loro curiosità, altrimenti destinata a rimaner delusa, se ne vadano cedendo il posto ad altri curiosi? Non mi dica anche lei: "Lei non si faccia vedere" Non si può tenere occulta un'ammalata mentre si discute di un affitto, salvo poi farla apparire ad affitto fatto. Chi entra in una casa dove c'è un'ammalata ha il diritto di sapere che c'è e di vederla pei decidere se gli convenga o meno la coabitazione con lei. E non si può pretendere che io, per la durata di nove mesi o un anno, stia perpetuamente con la porta di stanza chiusa per tenere occulta la mia presenza...
Gli affitti estivi sono un'altra cosa. I bagnanti non hanno altra preoccupazione che di divertirsi, e in casa non ci sono quasi mai. Ma l'affitto invernale, anche per la stagione piovosa, è vivere in comune e in casa per tutto il giorno."